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C’era una seconda volta

C’era una seconda volta

[Arte, Netflix · 2019]

 

Avevo così tanta paura di perderla che ho detto solo stupidaggini. Vincent

Non è che uno può guardare sempre e solo serie tv, per questo stavolta scelgo una miniserie, ce ne sono di interessanti. C’era una seconda volta è una miniserie francese di quattro episodi disponibile su Netflix. I protagonisti sono Gaspard Ulliel (Vincent), Freya Mavor (Louise) e una scatola. La scatola la porta un corriere espresso per errore a Vincent: è una roba 60×40, che ci entri dentro e vai nel passato. Il passato è in 4:3.

Louise è una donna bellissima e sfuggente che l’altrettanto bellissimo e sfuggente Vincent non riesce a dimenticare. E a Vincent le donne si lanciano contro come le falene sulla griglia elettrica, quindi non è che non abbia occasione. Semplicemente Louise è il suo incredibile amore e Vincent non riesce a togliersela dalla testa. Si sono amati tantissimo e poi è finita. Una separazione devastante, a Vincent non serve ritrovarsi a letto con sconosciute dai capelli rossi a una festa o con l’ex-moglie. Non che si tiri indietro, ma ne rimane distaccato, in un tempo che scorre lentissimo senza prospettive, niente a che vedere con quello passato con Louise.
Poi arriva la scatola, Vincent ci cade dentro e… Bum! Louise è di nuovo con lui, ma in 4:3, quindi lui fa due più due prima dello spettatore, capisce che è nel passato e concepisce un piano incredibile: usare la scatola che omaggia la fortunata serie tedesca Dark (ma anche la serie animata Futurama) per salvare il salvabile del suo rapporto con Louise e restare quindi con lei.

Quando la storia comincia a correre a tutto spiano verso la fine, noi spettatori siamo un po’ indietro e anche un po’ disorientati da questo 4:3 che ci sbalza nel tempo fuori dal tempo. “Almeno gli attori non sono tutti uguali come in Dark” mi dico, e questo mi dà la forza. Questo e le scene di nudo di quella che quando ero più piccolo era Mini McGuinness in Skin. Bum!

L’ossessione di Vincent per Louise è elementare. Vincent è una persona molto egoista e questo egoismo è acuito dalle straordinarie capacità della scatola in legno che lui utilizza per viaggiare nel tempo e finire nel passato in 4:3.
L’ossessione di Vincent è il fulcro della miniserie. Il regista francese Guillame Nicloux mischia i temi che lo hanno sempre interessato e una fotografia fredda. Lo spettatore è sempre in bilico tra la percezione del dramma psicologico che pesa sui protagonisti e l’evento che deve portare al cambio di scena. Un calco che da sempre caratterizza il cinema francese e che mi piace molto.

L’ossessione di Vincent e ciò che questa produce — impazzire di gelosia, trascurare il figlio avuto con l’ex-moglie, esagerare con l’alcol, fare le cose estremamente a ca**o e disintegrare l’ambiente attorno — rendono lo spettatore sempre più curioso. Ma la scarsa esplorazione delle scene, i dialoghi e il recitato per sottrazione non legano tra loro tutti gli eventi. Il senso di incompiutezza è voluto: se nel passato c’è la passione, l’ossessione che porta a rivivere l’evento in 4:3 genera uno sconforto cui è facile soccombere.

C’era una seconda volta

La serie

C’era una seconda volta
in originale: Il était une seconde fois (2019)
in Italia su: Netflix
quattro episodi di 50 minuti
con: Gaspard Ulliel e Freya Mavor
scritto e diretto da: Guillaume Nicloux

C’era una seconda volta


Guardalo se

ti piacciono il cinema francese,
le storie lente e incomplete, dalle dinamiche lievi e volutamente accennate,
le storie su amanti che si sono amati tantissimo però poi è finita e neanche sai perché.

Non guardarlo se

non ti piacciono le narrazioni lente,
il senso di incompiutezza di un certo tipo di cinema,
i personaggi appena caratterizzati e le storie che non forniscono alcuna rassicurazione.


L’autore

Guillaume Nicloux è nato a Melun nel 1966, in una famiglia molto religiosa. Da adolescente pensava di entrare in seminario, poi la lettura del romanzo La monaca di Denis Diderot gli ha fatto cambiare idea. Dopo gli studi in ragioneria, ha fondato una compagnia teatrale. Durante gli anni Novanta ha diretto i primi film e pubblicato i primi libri, ma per i riconoscimenti della critica ha dovuto attendere proprio l’adattamento cinematografico (uscito nel 2013) del romanzo di Diderot. L’anno seguente, con L’enlèvement de Michel Houellebecq, ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura al Tribeca Film Festival.
Vive a Fontainebleau, a settanta chilometri da Parigi e quindici da Melun.


C’era una seconda volta

J’ai beaucoup de respect pour la provocation dans son sens bénéfique, c’est-à-dire provoquer des émotions, des réactions. Guillaume Nicloux
Sei dell’umore giusto per

La possibilità di un’isola di Michel Houellebecq (Bompiani, 13 €)
In un futuro inquietante, Daniel24 e Daniel25 vivono nella ricerca di un distacco ascetico da ogni emozione. Sono il ventiquattresimo e il venticinquesimo clone di Daniel1 (uomo dei nostri tempi), la sua versione migliorata. Ma la lettura dei diari (fin troppo umani) del proprio “originale” provoca in Daniel25 una crisi profonda e irreversibile.